2022-07-25 06:30:00

Di seguito l'intervista al segretario generale della CISL, Luigi Sbarra, che compare oggi 23 luglio sulle pagine del quotidiano "Avvenire". Al centro i temi della crisi politica, delle emergenze economico sociali e del ruolo che in questa fase e in prospettiva sono chiamate a svolgere le parti sociali.

«Condividiamo pienamente l'appello del cardinale Zuppi. La cosa peggiore che possiamo fare è tornare a un logica dell'uomo solo al comando, con una politica autosufficiente, fatta di slogan e bandierine identitarie». All'indomani dello scioglimento delle Camere, il segretario generale della CISL Luigi Sbarra è preoccupato per il clima politico-elettorale in vista delle elezioni del 25 settembre.

La politica riuscirà a mettere da parte gli interessi personali e pensare alle sofferenze delle persone?
Non possiamo permetterci quel vuoto conflitto muscolare che ha bloccato per 20 anni riforme e investimenti. Le scadenze europee, i fondi del Pnrr con i 55 obiettivi che dobbiamo portare al traguardo entro la fine dell'anno, lo shock energetico e il galoppante caroprezzi, le condizioni di milioni di lavoratori, famiglie, pensionati non consentono tentennamenti, speculazioni, ulteriori demagogie.

Si riuscirà a trovare quel punto di incontro tra ciò che buono e ciò che è realmente possibile perché le risorse non vadano sprecate?
È la linea sindacale che la CISL porta avanti dalla sua nascita. Dobbiamo ricostruire il senso di comunità. con un contributo costruttivo, di tutti i soggetti, istituzionali, sindacali, mondo delle imprese. La strada è quella dell'allargamento degli strumenti di partecipazione delle persone, della corresponsabilità nelle scelte a partire da quelle nelle aziende e in tutti i luoghi di lavoro, verso il traguardo di una piena democrazia economica. Il nuovo governo che uscirà dalle urne, se vuole davvero dare un contributo costruttivo alle relazioni industriali, metta nel suo programma una legge per fare entrare i lavoratori nelle stanze dove si decide il futuro degli investimenti e dello sviluppo.

Come giudica questa crisi di governo?
Assurda e incomprensibile. È un gravissimo errore chiudere la fase di unità nazionale nel mezzo della peggiore crisi economica, sociale, sanitaria della nostra storia e in prossimità di scadenze e appuntamenti fondamentali, a partire dalla definizione di nuove misure per affrontare le emergenze sociali e, naturalmente, dai contenuti della nuova legge di Bilancio. Per questo abbiamo apprezzato la decisione saggia del capo dello Stato di lasciare al governo dimissionario il compito di accompagnare il Paese alle nuove consultazioni, in un'ottica che permetta una continuità nella gestione dell'emergenza. È in questa prospettiva che, già a fine luglio, aspettiamo risposte forti e misure urgenti di sostegno contro un'inflazione che schiaccia i redditi e i risparmi delle fasce deboli.

Continuerete a sollecitare un confronto con il governo Draghi anche se dimissionario?
Certo. Come ha detto il presidente Mattarella ci sono urgenze che vanno subito affrontate. Non possiamo aspettare il risultato delle elezioni. Il mutato quadro politico non cambia l'elenco delle cose da fare e la domanda di coesione, equità e giustizia sociale che viene dal Paese. Per questo, nel rispetto dell'autonomia delle forze politiche, lanciamo un appello alla responsabilità e chiediamo a tutti i gruppi parlamentari, ai partiti, alle altre organizzazioni di rappresentanza, di sostenere già dai prossimi giorni un'agenda sociale che non ha bandiere né colori partitici, ma che nasce invece dalle istanze reali di un Paese in mezzo al guado.

Un patto sociale è ancora possibile?
Il patto non è una parola astratta: è un modello di confronto costruttivo, dove si fissano insieme gli obiettivi da raggiungere e gli strumenti per affrontare la gravità dei problemi. Chiunque vincerà le elezioni avrà bisogno di ricercare il più ampio consenso sociale e il contributo di un sindacalismo responsabile se vogliamo davvero cambiare il Paese con riforme eque e condivise.

Oltre all'inflazione e all'aggressione della Russia all'Ucraina restano da risolvere ancora i problemi della disoccupazione giovanile, del Reddito di cittadinanza, della riforma delle pensioni. Cosa suggerite al prossimo governo?
Il nuovo governo dovrà partire dal tema della crescita, dal rilancio di salari e pensioni, lavorare con le parti sociali per costruire nuove e solide opportunità di lavoro per giovani e donne. È indispensabile una nuova riforma fiscale e della previdenza verso modelli più flessibili e inclusivi, nuove politiche attive e formazione, politiche industriali ed energetiche, investimenti e riscatto del Mezzogiorno, scuola, pubblico impiego, aiuto alla non autosufficienza, governance partecipata delle risorse europee. Questi sono i dossier che non possono essere considerati di parte e devono trovare giusta collocazione e messa a terra nelle priorità di ogni esecutivo, secondo le linee condivise dalle parti sociali in questo anno e mezzo. Su tutto questo chiamiamo la politica ad atti di concretezza e pragmatismo. E su questo la valuteremo, a partire già dai prossimi provvedimenti.

E sul salario minimo e il lavoro povero che cosa proponete?
Crescita salariale e contrasto al lavoro povero vanno affrontati con più investimenti, relazioni industriali e contrattuali più efficaci, l'estensione settore per settore del trattamento economico complessivo dei contratti più diffusi, più controlli nei luoghi di lavoro. È la contrattazione la via da seguire per allargare diritti e tutele e migliorare salari e stipendi come giustamente indica l'Europa nella Direttiva. Derive ideologiche e salari fissati per legge non porterebbero benefici: si rischierebbe di alimentare il sommerso e allontanare dalle tutele dei buoni contratti collettivi milioni di persone, schiacciando verso il basso anche le retribuzioni medie.

[intervista a cura di Maurizio Carucci]

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